BARI - Incredulità, sgomento, ma anche rabbia. La morte di Franco Granata - che potrebbe essere legata ad eventuali difficoltà economiche - chiama alla mobilitazione il mondo degli organizzatori di manifestazioni sportive. Di chi consente alla stragrande maggioranza di appassionati, di correre, pedalare in bicicletta, nuotare, pattinare, giocare a pallacanestro. Sono loro, gli organizzatori, che hanno contribuito in maniera determinante ad avviare il processo di riappropriazione degli spazi urbani. Se oggi piazze, giardini, strade e marciapiedi non fanno più paura, dobbiamo ringraziarli. Il merito va condiviso.
Un obiettivo raggiunto a costo di enormi sacrifici economici. Ed è proprio per questo che la vicenda di Granata - nonostante non esista al momento alcun collegamento diretto - riapre la ferita, mai cicatrizzata, del rapporto burrascoso con le istituzioni, legato alla erogazione dei contributi. Certo, l’imprenditore sportivo rischia di suo. Questo lo sanno tutti. Fa parte delle regole del mercato, lui è un professionista del settore: se sei bravo, guadagni. Altrimenti chiudi baracca e burattini. Diverso il discorso per gli organizzatori di casa nostra, quasi esclusivamente volontari, rappresentanti di associazioni dilettantistiche, per i quali è praticamente impossibile trasformarsi nel Re Mida di turno. Qui l’impegno, la passione, le risorse personali, rappresentano gli ingredienti quotidiani di ogni manifestazione sportiva che si rispetti. E che - non bisogna dimenticarlo - sono diventati patrimonio della comunità, biglietto da visita per un territorio.
La regola della legge spietata del mercato, insomma, non regge. Si aspettano e si chiedono contributi per iniziative che hanno l’unico obiettivo di promuovere la pratica sportiva, lo socializzazione, lo stare insieme. Ricoprendo così vuoti istituzionali. Oggi, la scure dei tagli continua a mietere vittime. L’impatto è forte, devastante in alcuni casi. Indietro, purtroppo, non si può tornare se i bilanci degli enti locali sono dimezzati, se ci sono i patti di stabilità da rispettare, se le norme penalizzano le istituzioni e la prima cosa da tagliare diventa lo sport. C’è la necessità, allora, di un ripensamento generale: svolgere attività contando esclusivamente sui contributi pubblici non è più possibile.
Allora? Forse, una strada da percorrere può essere questa: meno quantità e più qualità. Eliminare, ad esempio, gli eventi collaterali, ridurre i famigerati pacchi gara, gioia e delizia di ogni concorrente, abolire gli accessori tecnici, dar vita ad una iniziativa che contenga più gare, su distanze diverse, mettendo insieme le sinergie organizzative. Fino a dieci anni fa il Coni erogava i contributi per l’attività alle società sportive e alle Federazioni. E la catena di Sant’Antonio, con le inevitabili ricadute periferiche, funzionava. I tempi sono cambiati. L’austerity è in mezzo a noi.
Un obiettivo raggiunto a costo di enormi sacrifici economici. Ed è proprio per questo che la vicenda di Granata - nonostante non esista al momento alcun collegamento diretto - riapre la ferita, mai cicatrizzata, del rapporto burrascoso con le istituzioni, legato alla erogazione dei contributi. Certo, l’imprenditore sportivo rischia di suo. Questo lo sanno tutti. Fa parte delle regole del mercato, lui è un professionista del settore: se sei bravo, guadagni. Altrimenti chiudi baracca e burattini. Diverso il discorso per gli organizzatori di casa nostra, quasi esclusivamente volontari, rappresentanti di associazioni dilettantistiche, per i quali è praticamente impossibile trasformarsi nel Re Mida di turno. Qui l’impegno, la passione, le risorse personali, rappresentano gli ingredienti quotidiani di ogni manifestazione sportiva che si rispetti. E che - non bisogna dimenticarlo - sono diventati patrimonio della comunità, biglietto da visita per un territorio.
La regola della legge spietata del mercato, insomma, non regge. Si aspettano e si chiedono contributi per iniziative che hanno l’unico obiettivo di promuovere la pratica sportiva, lo socializzazione, lo stare insieme. Ricoprendo così vuoti istituzionali. Oggi, la scure dei tagli continua a mietere vittime. L’impatto è forte, devastante in alcuni casi. Indietro, purtroppo, non si può tornare se i bilanci degli enti locali sono dimezzati, se ci sono i patti di stabilità da rispettare, se le norme penalizzano le istituzioni e la prima cosa da tagliare diventa lo sport. C’è la necessità, allora, di un ripensamento generale: svolgere attività contando esclusivamente sui contributi pubblici non è più possibile.
Allora? Forse, una strada da percorrere può essere questa: meno quantità e più qualità. Eliminare, ad esempio, gli eventi collaterali, ridurre i famigerati pacchi gara, gioia e delizia di ogni concorrente, abolire gli accessori tecnici, dar vita ad una iniziativa che contenga più gare, su distanze diverse, mettendo insieme le sinergie organizzative. Fino a dieci anni fa il Coni erogava i contributi per l’attività alle società sportive e alle Federazioni. E la catena di Sant’Antonio, con le inevitabili ricadute periferiche, funzionava. I tempi sono cambiati. L’austerity è in mezzo a noi.
di GAETANO CAMPIONE - La Gazzetta del Mezzogiorno
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